Nell’elenco dei reati contro la Pubblica Amministrazione occupa senz’altro un posto di rilievo il reato, ex art. 318 cp e ss., di corruzione, che si consuma ogniqualvolta un privato e pubblico funzionario si accordano affinchè il primo corrisponda al secondo un compenso per il compimento, o anche per l’omissione, di un atto che attiene al pubblico ufficio cui è preposto.
Le fattispecie di delitti corruttivi previste nel nostro ordinamento sono molteplici e sono descritte agli articoli 318 e seguenti del codice penale, ove sono descritte le varie condotte idonee a produrre la consumazione del delitto di corruzione.
In particolare, l’art. 318 c.p. sanziona con la pena della reclusione da uno a cinque anni il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, riceve indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa.
La superiore formulazione della norma è il frutto della riforma operata con l’art. 1 della legge 6 novembre 2012 n. 190, che ha inciso profondamente sia sulla rubrica della disposizione, oggi individuata in “Corruzione per l’esercizio della funzione”, sia sul contenuto di essa.
Prima della modifica legislativa la rubrica della norma era infatti la seguente: “Corruzione per un atto d’ufficio”; essa stabiliva la pena della reclusione da sei mesi a tre anni per il pubblico ufficiale che, per compiere un atto del suo ufficio, riceveva per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione non dovuta, o ne accettava la promessa.
La nuova formulazione dell’art. 318 c.p. disciplina l’ipotesi della c.d. corruzione impropria, ritenuta dal legislatore meno grave della corruzione c.d. propria di cui all’art. 319 c.p., in quanto in tale fattispecie si prevede che il pubblico ufficiale riceva o accetti la promessa di un compenso per il compimento dei suoi doveri d’ufficio.
Ne consegue che l’atto compiuto dal funzionario non recherà alcun danno alla Pubblica Amministrazione, essendo uno degli atti che egli avrebbe dovuto compiere in ragione del suo ruolo di pubblico ufficiale, ma vi sarà comunque un disvalore penale nella sua condotta individuato nell’accettare la promessa o la dazione di un compenso non dovuto.
Diversamente, assai più grave appare il reato previsto dall’art. 319 c.p., il quale statuisce che il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da quattro a otto anni.
È questa la c.d. corruzione propria, di cui si intuisce subito la gravità, in ragione del fatto che in cambio di un vantaggio o compenso il pubblico ufficiale compie un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio, o comunque omette un atto che avrebbe dovuto compiere, con conseguente gravissimo danno per la Pubblica Amministrazione, i cui interessi sono messi da parte e soccombono dinanzi alla cupidigia dei singoli.
La differente gravità come visto si riflette anche sulle pene previste, da uno a cinque anni di reclusione per la corruzione impropria e da quattro a otto anni per quella propria.
A ciò deve aggiungersi la pena della reclusione da quattro a dieci anni per chi commetta i fatti previsti dalle superiori norme nell’ambito di un processo civile, penale o amministrativo. Si tratta della c.d. corruzione in atti giudiziari, prevista e punita dall’art. 319 ter c.p.
L’art. 317 bis c.p. impone inoltre l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici ogniqualvolta si commettano i reati di corruzione propria e di corruzione in atti giudiziari.
Per gli altri reati corruttivi restano valide le disposizioni dell’art. 29 c.p., secondo il quale si applica l’interdizione perpetua in caso di condanna superiore ai cinque anni di reclusione o quella temporanea, per un tempo non inferiore ai cinque anni, in caso di condanna superiore ai tre anni.
Corruzione in Appalti e grandi opere pubbliche
Senza ombra di dubbio, il fenomeno corruttivo è estremamente presente, anzi dilagante, nel mondo delle grandi opere, c.d. white elephants, dove la pietanza da cui nutrirsi risulta essere molto sostanziosa.
Vi sono diverse cause del particolare radicamento della corruzione in tale ambito.
In primo luogo, le grandi opere consentono di incuneare tali condotte illecite entro sedi istituzionali, dove le decisioni sono prese da pochi e pochi sono a conoscenza dei reali processi decisionali che si compiono; in tal modo è quindi possibile arginare e minimizzare i rischi connessi a tali attività.
Non solo. Le probabilità che vi sia corruzione aumenta esponenzialmente quando il soggetto che deve assumere decisioni pubbliche opera in regime di monopolio.
Non è difficile intuire come in una simile situazione non sia complicato per il monopolista approfittare della sua posizione dominante, che potrà sfruttare al meglio imponendosi ai soggetti privati che partecipano alla procedura di aggiudicazione.
Maggiore è il potere, più forte è la pressione che viene inflitta ai privati, i quali sono perfettamente consapevoli di doversi “meritare” l’aggiudicazione.
Inoltre, le infinite risorse pubbliche che si dedicano alle grandi opere, di particolare difficoltà tecnica e dai lunghi tempi di esecuzione, che faranno lievitare ancor più il budget da stanziare.
A tutto ciò si aggiungono poi gli strumenti giuridici che consentono di opacizzare le decisioni assunte, soprattutto consentono di occultare almeno in parte i processi decisionali tramite cui si giunge alla posizione finale.
Basti pensare alle forme pseudo privatistiche utilizzate dalla Pubblica Amministrazione nella contrattazione con i privati, come il project financing o il general contractor; tutti schemi che ricalcano la contrattazione privata e che consentono all’amministrazione di operare quasi totalmente come un privato.
Da ciò deriva una forte discrezionalità in tali processi, che sarà più difficilmente controllabile, anche in considerazione di principi quali la “straordinarietà” o il fantomatico “interesse pubblico” che spesso accompagnano tali affari.
È questo ciò che rende le opere pubbliche luogo di dilagante corruzione, che spesso conduce a lavori non ben eseguiti e grandi disastri come quello della diga del Vajont o come il più recente caso Mose.
Il pubblico ufficiale e l’imprenditore
Quando si parla di corruzione, per stessa volontà legislativa, uno dei soggetti coinvolti è necessariamente un pubblico ufficiale; diversamente non si configurerebbe tale delitto.
L’altro soggetto è invece, di regola, una persona che abbia interessi ad ottenere qualcosa dalla Pubblica Amministrazione. Spesso si tratta di un imprenditore che con essa fa affari, da cui deve ottenere appalti o concessioni o autorizzazioni.
In definitiva, deve trattarsi di un soggetto la cui prosperità economica dipenda da un atto o da un omissione di un pubblico ufficiale, che sia quindi ben disposto a dividere con lui parte della torta, o comunque a fare in modo che anche lui abbia la sua buona parte al progetto.
Soltanto le Procure che indagano su condotte corruttive possono arginare la consumazione di tali reati, di cui difficilmente si avrà notizia dai soggetti coinvolti.
Trattandosi di delitti che implicano gli interessi di più persone, usualmente nessuna di queste avrà interesse a mettere a conoscenza l’autorità giudiziaria degli affari compiuti, per cui la sola soluzione potrà pervenire dagli inquirenti, che mediante attività investigativa riescano a scoprire con le mani nel sacco i soggetti coinvolti, oppure dai cittadini che abbiano interesse a denunciare le attività sospette.
Anche in questo caso, tuttavia, non è così agevole pervenire ad una denuncia, poiché nella maggior parte dei casi si tenderà a farsi gli affari propri, senza inimicarsi soggetti di potere.
Ne deriva che le denunce in cui si dà conto di comportamenti tali da integrare il delitto di corruzione giungeranno sempre dalla voce di coloro che hanno un qualche interesse che si contrappone a quello delle persone che vengono accusate.
Dopo di che, la misura più incisiva sarà senz’altro quella delle intercettazioni, che consentiranno di comprendere quando e dove debba avvenire lo scambio di utilità e di procedere quindi all’arresto.
Reato Plurisoggettivo a Concorso necessario
Il reato di corruzione è un reato plurisoggettivo a concorso necessario.
Esso non può che essere commesso da almeno due persone, l’intraneus, ossia colui che è interno alla pubblica amministrazione, e l’extraneus, ossia il privato.
Si tratta dunque di un reato proprio, se visto dal lato del pubblico ufficiale, per cui è necessaria una qualifica determinata per la sua commissione, o di un reato comune, se guardato con gli occhi del privato cittadino.
Ciò che è certo è che la fattispecie prevede tra gli elementi costitutivi la pluralità di persone, elemento senza il quale il fatto non sussisterebbe.
Spesso nel nostro Paese si parla di corruzione ambientale o endemica.
Questa sussiste ogniqualvolta, nell’ambito di un determinato ramo della pubblica amministrazione o di un territorio specificato, il fenomeno corruttivo non sia costituito da episodi isolati di volta in volta puniti, bensì rappresenti una vera e propria prassi.
Ciò accade quando tale condotta illecita diventa un consono e usuale modus operandi, al pari di ogni altra prassi commerciale.
Si pensi a quando accaduto in Italia negli anni ’90, quando il fenomeno di Tangentopoli faceva emergere un sistema fatto di mazzette e di ovvie regalie ai pubblici ufficiali.
Un’abitudine che, a dispetto di quanto si sia voluto in passato sostenere, ci ha seguiti fino ad oggi, quando addirittura scopriamo che esiste negli affari romani la pratica del 5%, per cui il funzionario deve ricevere dal privato imprenditore il 5% dell’importo dell’affare che lo aiuterà a compiere sfruttando la propria posizione all’interno alla Pubblica amministrazione.
Un legame inscindibile e patologico tra gli amministratori della res pubblica e il mondo dell’imprenditoria, emerso per la prima volta con Mani Pulite, che esiste da sempre e forse per sempre esisterà.
Non è un caso se, ancora oggi, nell’indice di percezione della corruzione 2015 l’Italia si classifica al 61° posto, con un punteggio di 44 su 100, posizionandosi tra i paesi europei soltanto dinanzi a Bulgaria, Romani e Grecia, a poco valendo sino ad ora il lavoro della nuova Autorità Nazionale Anticorruzione.
Circostanze aggravanti specifiche
Nel caso della corruzione, oltre alle circostanze aggravanti e attenuanti comuni applicabili in tutte le tipologie di reato, ha previsto anche delle circostanze aggravanti specifiche, riferibili soltanto alla condotta corruttiva.
L’art. 319 bis c.p., infatti, stabilisce che se il fatto di cui all’art. 319 c.p., ossia la c.d. corruzione propria, ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene, la pena prevista è aumentata.
Il riconoscimento di tali circostanze concorrerà nel giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti eventualmente presenti.
La differenza con la Concussione
Quando si parla di corruzione non può non farsi cenno anche al reato di concussione, che al contrario non prevede la partecipazione attiva del privato, il quale nella concussione si limita a subire la costrizione o l’induzione del pubblico ufficiale a farsi dare o promettere denaro o altra utilità.
In questo caso è quindi colui che riveste una funzione pubblica a imporre la propria autorità e a sfruttarla per ottenere benefici, paventando al cittadino eventuali svantaggi che gli potrebbero derivare dal non assoggettamento alle sue volontà.
Con la riforma operata dalla legge 190/2012 si è distinto tra le due diverse condotte di costrizione e di induzione, le quali, nonostante prima venissero racchiuse tutte sotto il nome di concussione, hanno dato origine a due reati diversi, previsti rispettivamente dall’art. 317 c.p. e dall’art. 319 quater c.p.
“VITA. CORRUZIONE CHE S’ADORNA D’ILLUSIONI.” Giuseppe Ungaretti