Corruzione Expo Milano

Nel dicembre 2014, il Consiglio di Stato si pronunciava sull’impugnazione della sentenza del Tar della Lombardia relativamente al contratto stipulato da Expo Spa, società creata per la gestione dell’evento Expo, e l’impresa vicentina Maltauro Spa, il cui titolare era finito in carcere.

Il Tar aveva accolto il ricorso presentato dalle imprese escluse, sostenendo che il contratto poteva essere revocato sulla base del Protocollo di legalità siglato nel 2012. Viceversa il Consiglio di Stato, dapprima con ordinanza n. 4089/2014 emessa dalla sezione quarta e poi con sentenza pronunciata dopo l’udienza di merito del 18 dicembre 2014, confermava la posizione della Maltauro Spa, osservando come la sussistenza di un’indagine della Procura della Repubblica di Milano non sia di per sé elemento sufficiente a costituire violazione del protocollo di legalità e ad inficiare pertanto gli atti sottoscritti dalla società interessata, alla quale dunque doveva riconoscersi la prosecuzione dei lavori.

Arresto per Corruzione

È inutile ribadirlo, essendo mai circostanza nota a tutti il fatto che ogniqualvolta vi sia un grande evento che comporta la gestione di fondi pubblici si susseguono scandali, arresti e incriminazioni per i soliti reati: mafia, corruzione, concussione, tangenti e modifiche delle gare d’appalto a proprio piacimento, in spregio ai principi di buona andamento e imparzialità che dovrebbero informare l’attività della pubblica amministrazione.

Expo 2015 non ha fatto eccezione da questo punto di vista, avendo portato con sé una buona dose di notizie su cui soffermarsi e una serie elevata di sentenze attraverso le quali i giudici hanno avuto modo di chiarire la posizione della giustizia in ordine al verificarsi di determinati accadimenti.

Del resto non poteva che essere così. Si è trattato di uno dei più grandi eventi che l’Italia abbia ospitato da molto tempo, con finanziamenti a sei zeri da parte degli enti pubblici e con una serie innumerevoli di appalti e di contratti milionari in ballo.

Tra questi rientrava il contratto stipulato dalla società creata per la gestione e per l’organizzazione dell’evento, la Expo 2015 Spa, e la società facente capo al costruttore veneto Enrico Maltauro, che era stata incaricata della realizzazione delle architetture di servizio di Expo 2015.

Se non che quest’ultimo, nel maggio 2014, veniva tratto in arresto unitamente ad altre sei persone, anch’esse a vario titolo coinvolte nell’affare Expo, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gup di Milano Fabio Antezza. Le accuse per le persone arrestate erano quelle di associazione a delinquere, corruzione, turbativa d’asta, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, oltre che rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio.

Enrico Maltauri, oltre che amministratore delegato della Maltauro Costruzioni, era stato nominato quale direttore Pianificazione e Acquisti di Expo 2015 e general manager del progetto. L’accusa per lui, secondo i pm, era quella di aver versato circa 30-40 mila euro al mese in contanti, o come fatturazione per consulenza, alla cupola degli appalti, così da assicurarsi con la sua società un ruolo primario nei lavori di Expo.

Dopo l’arresto gli veniva revocata la carica di consigliere e amministratore delegato della società, agendo in autotutela, così da consentire alla società di procedere liberamente alle opportune indagini interne per accertare le eventuali personali responsabilità dell’ormai ex consigliere.

Di tal che, viste le vicissitudini giudiziarie che stavano coinvolgendo il Maltauro, il gruppo di imprese, al quale la società Maltauro era stata preferita e che era arrivato secondo nella gara d’appalto, proponeva ricorso al Tar della Lombardia al fine di subentrare subito nei lavori, con conseguente esclusione della precedente vincitrice dell’appalto.

Procedimento dinanzi al Tar

In seguito al ricorso presentato dalla società classificatasi seconda nella gara d’appalto, resisteva in giudizio la società Expo Spa, la quale si opponeva alla revoca del contratto stipulato con la Maltauro.

Il Tribunale, con sentenza del luglio 2014, accoglieva però le tesi della parte ricorrente, annullando l’aggiudicazione in ragione di una presunta violazione del Protocollo di legalità che era stato sottoscritto tra la Prefettura di Milano ed Expo 2015 Spa, siglato nel 2012 allo scopo di prevenire le infiltrazioni mafiose e la corruzione negli appalti. E infatti, secondo la sentenza, a fronte di condotte illecite e anche penalmente rilevanti poste in essere da pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, può anche sussistere un vizio di legittimità negli atti da questi posti in essere.

Nel dettaglio, il giudice amministrativo di primo grado aveva qualificato la violazione del Protocollo di legalità quale vizio suscettibile di determinare l’illegittimità dell’aggiudicazione. All’uopo era stato anche richiamato il bando di gara, secondo cui “le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute dei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara”.

Nel bando di gara era poi stato previsto l’obbligo delle imprese di dare notizia senza ritardo alla prefettura, dandone comunicazione a Expo 2015 Spa, di ogni tentativo di estorsione, intimidazione o condizionamento di natura criminale, in qualunque forma esso si manifestasse nei confronti dell’imprenditore, degli eventuali componenti della compagine sociale o dei loro familiari, ad esempio mediante richiesta di tangenti, di pressioni per indirizzare l’assunzione di personale o l’affidamento di lavorazioni, forniture, ovvero di danneggiamenti o furti di beni personali o in cantiere.

Non solo. Il Protocollo imponeva di denunciare all’autorità giudiziaria o agli Organi di Polizia ogni illecita richiesta di denaro, prestazione o altra utilità ad essa formulata prima della gara e di accettare il sistema sanzionatorio previsto dallo stesso Protocollo. Quest’ultimo all’art. 4 stabiliva che la violazione degli obblighi indicati fosse espressamente sanzionata, ai sensi dell’art. 1456 c.c., con la risoluzione automatica del contratto o la revoca dell’affidamento da parte di Expo.

Alla luce delle superiori considerazioni, il Tar della Lombardia aveva annullato l’aggiudicazione dell’appalto in favore della società facente capo a Enrico Maltauro.

Provvedimento del Consiglio di Stato

I giudici amministrativi del secondo grado di giudizio contraddicevano tuttavia la posizione assunta dal tar.

Già con ordinanza n. 4089 del 2014, depositata il 16 settembre, la sezione quarta accoglieva il gravame presentato dalla società Expo 2015 Spa, sospendendo l’esecutività della sentenza di primo grado e fissando per la decisione del merito l’udienza pubblica del 18 dicembre 2014.

Nella successiva sentenza il Consiglio di Stato rilevava una serie di incongruenze che non consentivano di ritenere legittima la pronuncia assunta in primo grado. Innanzitutto si osservava che l’obbligo di denuncia previsto dal Protocollo era destinato a valere per tutta la durata del rapporto tra concorrente e stazione appaltante, non soltanto per le eventuali condotte illecite di cui si avesse avuto notizia in corso di gara, ma anche nella successiva fase dell’esecuzione dell’appalto.

Ciò premesso i giudici osservavano come la violazione di tale obbligo avrebbe determinato conseguenze diverse a seconda della fase in cui interveniva. Nella fase pubblicistica, ossia quella selettiva, essa avrebbe comportato l’esclusione del concorrente dalla procedura, mentre nella seconda fase, quella privatistica di esecuzione del contratto essa ne avrebbe comportato la risoluzione.

Pertanto, l’esclusione avrebbe potuto esser disposta solo se l’inottemperanza agli impegni fosse stata accertata durante la fase pubblicistica dell’affidamento. Ma nel caso di specie così non è stato.

Gli arresti, che peraltro non determinano il riconoscimento di una penale responsabilità ma soltanto la presenza di indagini in corso, risalivano ad una fase ben posteriore rispetto al momento dell’aggiudicazione, in un segmento temporale in cui non poteva più parlarsi di esclusione e revoca dell’aggiudicazione, ma soltanto di risoluzione contrattuale. Per cui, ogni ipotetica violazione del Protocollo di legalità collegata alle indagini della Procura della Repubblica di Milano, mai avrebbe potuto viziare l’aggiudicazione definitiva determinandone l’illegittimità, essendosi questa già perfezionata.

L’evento si verificava invero in un momento successivo all’esaurimento della fase pubblicistica di scelta del contraente, come osservato nella sentenza, perciò non avrebbe potuto retroagire in modo da viziare ex post gli atti della gara.

In definitiva, la sentenza del Tar della Lombardia si rivelava scorretta sul piano tecnico, non tanto perché avesse individuato un’effettiva violazione del Protocollo di legalità, ma piuttosto perché si era sbagliato nel determinare le conseguenze di tale violazione.

Dunque non la revoca dell’aggiudicazione, bensì la risoluzione contrattuale. Questa sarebbe stata la corretta via da seguire.

È comprensibile che i non addetti ai lavori di fronte a tale decisione si chiedano che cosa cambi tra le diverse formule e, soprattutto, come possa una mera formula errata consentire che una società con un titolare forse coinvolto in reati gravi possa continuare ad essere aggiudicataria di un appalto così importante.

Sotto il profilo giuridico è un po’ come scambiare un topolino per un elefante, per cui si tratta di una questione estremamente rilevante, anche se, va riconosciuto, essa lascia abbastanza perplessi nel merito.

Tante lucubrazioni, tante speculazioni intellettuali e logiche, che hanno condotto all’unico risultato di disattendere lo spirito del Protocollo di legalità, che aveva quale unico scopo quello di impedire proprio che, per l’ennesima volta, vi fossero avvoltoi pronti a gettarsi sulla vittima.