Era mercoledì 9 marzo 2016 quando la Guardia di Finanza, dopo anni di indagini, eseguiva l’arresto di tredici diverse persone, tutte coinvolte in quello che è stata presto definita come la nuova Tangentopoli delle Commissioni Tributarie.
Giudici, avvocati e commercialisti uniti nella “cricca” degli sgravi fiscali facili e della scrittura a comando delle sentenze.
I giudici, a fronte di lauti compensi, garantivano infatti la vittoria nei procedimenti innanzi alla Commissione Tributaria competente, così come si impegnavano per l’annullamento di cartelle esattoriali, pur senza averne alcun diritto.
Corruzione di Giudici della Commissione Tributaria
Si va davanti a un giudice credendo che egli, sulla base della propria competenza, finirà con l’assumere la decisione migliore, quella conforme alle norme e all’interpretazione corrente delle stesse, in maniera terza e imparziale, nel contraddittorio tra le parti, così come recita e impone l’art. 111 Cost.
Eppure vi sono casi in cui questa descrizione non potrebbe non essere più lontana dalla realtà.
Coloro che dovrebbero essere preposti alla tutela della legge talvolta sono le prime persone che la infrangono, mettendosi in vendita al miglior offerente, pronti a intascare dei soldi per modificare le sentenze ad uso e consumo dei corruttori.
Il capo della cricca romana delle Commissioni Tributarie sembrerebbe essere la commercialista di nome Rossella, la quale, tassello dopo tassello, avrebbe costruito un vero e proprio giro del malaffare diretto ad includere gli addetti ai lavori al fine di pilotare i ricorsi fiscali e garantire così il pieno successo di tutte le azioni legali proposte avverso gli atti di accertamento del Fisco.
Annullamento degli Accertamenti dietro pagamento
Come è noto infatti , ogniqualvolta l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento o, in una fase successiva, giunge al destinatario direttamente la cartella di pagamento di Equitalia, è possibile impugnare tali atti dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale competente per territorio, per poter far valere i vizi formali dell’atto o per contestarne il contenuto, ad esempio nel caso in cui non si ritenga di essere debitori nei confronti del Fisco nella misura indicata da quest’ultimo.
Saranno dunque i giudici della Commissione, nel corso del processo tributario, a decidere quale delle parti sia nel giusto, potendo anche all’esito del procedimento annullare la cartella esattoriale o l’avviso di accertamento emessi.
Risparmiare con la Corruzione
Se per la maggior parte di noi ciò significa soltanto contestare la richiesta di una tassa automobilistica non pagata, o della Tarsu o dell’Imu, per alcuni, in particolare per le grandi aziende dagli elevati fatturati, l’annullamento di un avviso dell’Agenzia delle Entrate potrebbe significare risparmiare milioni di euro, indi per cui ben si sarà disposti a rendere felice un giudice, o un funzionario dell’Agenzia delle Entrate se il gioco vale la candela.
Ciò è quello che devono aver pensato tutti coloro che hanno deciso di esser parte del gruppo in associazione con finalità di corruzione.
Tra di loro alcuni giudici della Commissione tributaria regionale del Lazio, dei commercialisti, un avvocato, un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, un finanziere e un dipendente della Commissione tributaria regionale del Lazio.
Tra coloro che avrebbero pagato per ottenere sentenze favorevoli vi sarebbe un noto attore romano, che per vedersi annullare cartelle esattoriali per un totale di tre milioni di euro avrebbe versato circa 65mila euro, di cui 50 mila da dividere tra i giudici e 15 mila da destinarsi invece ad altri.
Il Giudice chiede soldi al ricorrente
L’attività investigativa incominciava nel maggio 2011, sollecitata dalla denuncia di un commercialista che per primo trovò il coraggio di segnalare il giudice Luigi all’autorità giudiziaria, dopo che questo gli aveva chiesto 6 mila euro per accogliere dei ricorsi da lui presentati alla Commissione tributaria.
Il giudice aveva però scelto la persona sbagliata, in quanto il commercialista non aveva esitato un momento a riferire l’accaduto alla Procura della Repubblica, la quale, dopo aver avviato le indagini, poneva Luigi agli arresti domiciliari nel 2013.
Tale episodio costituiva l’inizio di una cascata di eventi che avrebbe scoperchiato un enorme vaso di pandora e che avrebbe portato gli inquirenti a scoprire un enorme numero di procedimenti pilotati grazie al coinvolgimento dei più svariati professionisti e impiegati delle Commissioni.
Addirittura era emerso come in molti casi fossero proprio gli interessati, commercialisti e avvocati che avevano presentato il ricorso, a scrivere le motivazioni delle sentenze che gli davano ragione e che annullavano le cartelle esattoriali. Come dire, i giudici non facevano neppure la fatica di scriverle quelle sentenze per le quali avevano incassato lauti compensi.
Associazione a Deliquere, Corruzione e Concussione
Dopo 5 anni di indagine e il sospettato coinvolgimento di quasi trenta persone, venivano eseguiti gli arresti ed elevate le accuse. I capi di imputazione erano quelli di associazione a delinquere, concussione e corruzione.
Il primo di questi è previsto e disciplinato dall’art. 416 c.p., secondo cui quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è quella della reclusione da uno a cinque anni. Si prevede inoltre che, nel caso in cui gli associati siano in numero maggiore di dieci, la pena inflitta viene aumentata.
Come si vede dunque, nel caso di un’associazione per delinquere, le pene non sono tutte uguali, ma si terrà ovviamente conto della misura del contributo del singolo associato al sodalizio criminoso.
Nel caso di specie tale associazione era ovviamente finalizzata alla commissione dei delitti di corruzione in atti giudiziari e di concussione.
Concussione
Quest’ultimo in particolare, compiuto dal pubblico ufficiale, è di particolare gravità. L’art. 317 c.p. prevede infatti che il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Si tratta di un reato consumabile soltanto da un pubblico ufficiale, che non può mai veder punito un privato.
Diversamente per la corruzione in atti giudiziari, che al contrario prevede la necessaria partecipazione di un privato e di un membro della pubblica amministrazione; in questo caso, ove essi si accordino per favorire o danneggiare una parte in un processo, si applicherà per entrambi la pena della reclusione da quattro a dieci anni.
Le conseguenze in cui i personaggi implicati potranno incorrere sono dunque tutt’altro che lievi e si aggiungono alle gravi ripercussioni che ovviamente una simile storia avrà sulle carriere di ciascuno.
Certo, è anche vero che in questi casi di solito si è già da tempo occultato il malloppo e difficilmente si potrà arrivare alla confisca del denaro che rappresenta il profitto del reato, come stabilito dalla legge, così che alla fine, benchè dovranno subirsi le conseguenze penali, il patrimonio resterà intatto.
In più, oltre alle sentenze definitive che ci metteranno un po’ ad arrivare, intanto si subiscono le misure cautelari imposte dal Giudice per le Indagini Preliminari su richiesta della Procura, che per alcuni degli indagati sono consistite nella misura restrittiva degli arresti domiciliari.
Secondo il giudice penale sussistono infatti il pericolo di fuga, di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato, attese le posizioni occupate dai soggetti interessati.
Corruzione istigata dall’Avvocato
Ciò che è accaduto non trova alcuna giustificazione.
Pur tuttavia, un minimo di comprensione e di empatia potrebbe essere riservata a quei professionisti che, nuovi poveri in seguito alla crisi, lottano ogni giorno per tenersi a galla, per racimolare lo stipendio e tentare di arrotondare.
Ma cosa dire di quei magistrati che, dall’alto del loro stipendio mensile, non risultano essere ancora paghi e mettono in vendita il loro pubblico ufficio, mercificando una funzione tanto importante per la società civile e per un paese democratico come il nostro?
Cosa resta del senso di giustizia se ci accorgiamo che coloro ai quali imputeremmo una qualche superiorità morale in realtà sono peggiori di quelli che fanno dell’illiceità il loro sistema di vita?
La risposta non può che essere amara. Si deve prendere atto della circostanza che non esistono apparati dello Stato scevri dall’ingordigia e dalla cupidigia.
Il denaro messo sul tavolo verrà quasi sempre preso e portato via da chiunque vi sieda intorno, anche se si tratta di persone che hanno già le tasche piene e per le quali potrebbe anche essere più facile declinare l’offerta, se non per il rispetto della legge, quanto meno perché non c’è un reale bisogno.