Corruzione dell’Agente di Polizia in cambio di informazioni privilegiate

A fronte dell’esercizio di un potere discrezionale del pubblico ufficiale, gli estremi della corruzione propria ricorrono nelle ipotesi in cui il soggetto agente abbia accettato, dietro compenso, o di non esercitare la discrezionalità che gli è stata attribuita dall’ordinamento, o di usare tale discrezionalità in modo distorto, alterandone consapevolmente i fondamentali canoni di esercizio e ponendo perciò in essere un’attività contraria ai suoi doveri d’ufficio.

Tuttavia, affinchè una condotta possa rientrare nella nozione penalistica di atto d’uffici, deve trattarsi di un comportamento che sia posto in essere in un contesto funzionale alle attività della pubblica funzione.

Cassazione penale, sez. VI, sentenza 12/02/2016, n. 7731.

Esistono tante forme di corruzione, alcune sono giuridicamente punite altre no. Esiste una corruzione materiale, ma anche una corruzione morale. Una corruzione per atti contrari ai propri doveri d’ufficio e una che invece concerne lo svolgimento dei propri compiti.

Talvolta è possibile anche che, al di fuori del proprio ufficio, un pubblico funzionario svolga delle attività che si pongono in contrasto con i doveri a cui è tenuto in virtù della sua appartenenza alla pubblica amministrazione.

Ricorsi fatti in cas…erma

Si pensi, ad esempio, ad un membro della polizia locale di un Ente municipale che si offra di redigere i ricorsi avverso i verbali elevati dal suo stesso ufficio, o che comunque dia dei consigli sull’argomento, facendo di fatto attività di consulenza volta a consentire la demolizione del lavoro dei suoi colleghi.

Chi meglio di una persona interna ad un apparato amministrativo può conoscerne i segreti, le debolezze, il punto in cui può essere colpita.

L’attività del corpo della polizia locale, a differenza di quanto pensano in molti, è un’attività estremamente varia, che spazia dai controlli sul rispetto della normativa edilizia, sino a quelli che concernono eventuali reati ambientali.

Essa non si limita alle semplici infrazione del codice della strada, ragion per cui molte persone possono ottenere un concreto vantaggio dall’essere adeguatamente “consigliate”.

E cosa ci può essere di meglio in questi casi dell’avere un funzionario a disposizione, che può aiutare a redigere un ricorso in cui punto per punto si contestano le asserzioni eseguite dai verbalizzanti che abbiano accertato delle violazioni di legge?

Ovviamente se un amico che fa parte della polizia municipale è tanto gentile da dare una mano nel momento del bisogno, quando si rischiano salate sanzioni o peggio ancora l’arresto o la reclusione, allora sarà necessario mostrare la propria gratitudine, magari con quale regalino che dall’esterno potrebbe sembrare innocente.

Ma i “regalini” costituiscono un attività illecita, specie se rappresentano un compenso per un lavoro o per un servigio che in qualche modo sia connesso alla qualifica di pubblico ufficiale rivestita dall’ “amico”.

Ci si può quindi trovare in guai seri, come accaduto ad un consulente di esercizi pubblici, al vice comandante vicario della polizia locale e al presidente di una circoscrizione.

Accuse di rivelazione di informazioni riservate

Venivano accusati di aver rivelato varie notizie riservate relativamente a esposti, controlli e concorsi, di aver redatto ricorsi amministrativi per conto di privati finalizzati all’annullamento di sanzioni amministrative irrogate da altri funzionari dell’ufficio e, infine, di essersi attivati presso altri funzionari all’interno del Comune per omettere controlli amministrativi o non applicare integralmente le normative vigenti in occasione di controlli, ovvero per favorire candidati di pubblici concorsi.

Condanna del Vice Comandante della Polizia Locale per Corruzione

In relazione ai superiori fatti, il Tribunale condannava tutti gli imputati in concorso tra loro per abuso d’ufficio, assolvendo il consulente e il vicecomandante della polizia locale dall’ulteriore reato contestatogli di corruzione continuata.

Tale pronuncia veniva impugnata dal pubblico ministero dinanzi alla Corte d’appello la quale, accogliendo le censure dell’accusa, ribaltava la decisione, assolvendo gli imputati per il reato di abuso di ufficio, ma condannandoli per corruzione con riferimento al capo B dell’imputazione. Esso ricomprendeva le tre condotte di rivelazione di notizie riservate, redazioni ricorsi amministrativi per conto dei privati e l’interessamento presso i colleghi volto ad evitare che effettuassero alcuni controlli.

Gli imputati proponevano a sua volta ricorso per cassazione avverso detta decisione.

L’Avvocato Penalista Impugna la Sentenza

In primo luogo, le difese osservavano come la Corte d’appello avesse errato nel pronunciarsi, andando oltre la cognizione che le era devoluta.

Il pubblico ministero, infatti, nell’appellare la sentenza di primo grado, si era riferito al solo episodio del 4 agosto 2008, che nello specifico riguardava la consegna al vice comandante di alcune regalie consistenti in biglietti di ingresso a parchi divertimenti.

Ciò nonostante, i giudici di secondo grado avevano ampliato la propria decisione anche ad altri fatti che non le gli competevano, includendovi tutte le condotte riportate nel capo B, ancorchè l’impugnazione si riferisse solo a una di queste.

Errata Qualificazione dei Fatti

In secondo luogo, si contestava la qualificazione dei fatti in oggetto. Come rilevato dai difensori degli imputati, non vanno confusi gli atti d’ufficio con gli atti compiuti in occasione dell’ufficio, quale ad esempio la redazione nell’interesse di privato di ricorsi amministrativi.

Nello specifico, tale attività sarebbe da considerarsi priva di ogni collegamento funzionale con l’attività posta in essere dal pubblico ufficiale, in quanto in tale occasione egli agiva come consulente privato e in nessun modo la redazione del ricorso apparteneva alla sfera di competenza dell’ufficio di appartenenza.

In altri termini, la corruzione può sussistere solo laddove si ricevano dei compensi per compiere un atto di ufficio o un atto contrario ai doveri d’ufficio; fattispecie non realizzata quando gli atti compiuti non abbiano invece nulla a che fare con le proprie attività di pubblico ufficiale.

All’uopo le difese richiamavano l’insegnamento della Cassazione (sez. VI, sent. 25242/2011), secondo cui il presupposto del collegamento funzionale e dell’essere l’attività espressione dell’ufficio di appartenenza e quindi all’ufficio comunque riferibile, è presupposto essenziale del reato di corruzione.

Inoltre, si censurava la motivazione fornita dalla Corte d’appello, che ad avviso dei ricorrenti non dava adeguato conto del rapporto di sinallagmaticità tra redazione del ricorso amministrativo per conto di un privato e pagamento a mezzo biglietti di ingresso e si limitava a paventare la promessa di un posto di lavoro da parte del funzionario per il figlio dell’acquirente dei biglietti, pur in assenza di prove.

Anzitutto, secondo i giudici della Suprema Corte erano da ritenersi fondate le doglianze delle difese relative alla delimitazione dell’originaria impugnazione avanzata dal pubblico ministero.

Il capo B dell’imputazione pareva infatti prevedere l’incolpazione per tre diverse condotte, ciascuna autonoma e indipendente rispetto alle altre.

Ciò detto, l’accusa aveva censurato la decisione dei giudici di primo grado soltanto con riferimento a quegli accertamenti che avevano consentito di rilevale uno scambio tra la redazione di un ricorso amministrativo da parte del pubblico ufficiale, con lo scopo di consentire al privato di veder annullata una sanzione amministrativa che gli era stata inflitta in seguito al rilevamento di alcune violazioni nel bar che egli gestiva, e la ricezione di regalie, con specifico riferimento a biglietti per spettacoli, attrazioni varie e parchi divertimenti.

La Corte d’appello aveva dunque erroneamente giudicato sussistente la propria cognizione su tutto il capo B, quando avrebbe invece dovuto limitarsi a decidere sul singolo episodio censurato.

Corruzione con Biglietti per Spettacoli

Chiarito ciò si trattava di stabilire un punto fondamentale nel merito: può un pubblico ufficiale, al di fuori del suo ufficio, attivarsi per aiutare un privato a redigere un ricorso per l’impugnazione di una sanzione applicata dal suo reparto, in cambio per di più di alcuni doni?

Secondo la Corte di Cassazione si.

Osservava la Corte che la messa a disposizione delle conoscenze tecniche utili ad impostare un atto di impugnazione, o anche a sollecitare un intervento dell’amministrazione comunale in autotutela, non rientrava tra le funzioni attribuite alla polizia municipale o ad altri uffici comunali, e comunque non si trattava di una competenza attribuita al vice comandante del corpo.

La Corte d’appello aveva qualificato tale atto come contrario ai doveri d’ufficio esclusivamente sulla base del fatto che tale divieto era stato riconosciuto dalla Corte di Cassazione con riferimento ad altri casi.

Ma si trattava di ipotesi del tutto differenti, afferenti al personale medico e infermieristico e non attinenti al caso di specie.

Con riferimento all’art. 319 c.p. viceversa, che disciplina la fattispecie della corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, la nozione di atto d’ufficio deve essere individuata in una vasta gamma di condotte umane, che siano collegate all’incarico del pubblico ufficiale.

 Vi rientra l’esercizio del potere discrezionale da parte del pubblico ufficiale che ne è istituzionalmente investito: tale potere non è però libero da canoni e limiti, ma al contrario è destinato ad essere esercitato in un quadro di regole che ne assicurano il corretto esercizio e ne indicano i naturali confini.

Ne deriva che, nel contesto delle norme incriminatrici della corruzione, l’esercizio del potere discrezionale costituirà atto contrario ai doveri d’ufficio nei casi in cui il pubblico ufficiale agisca violando consapevolmente le fondamentali regole di esercizio di tale potere, in cambio di un compenso.

Ebbene, effettuate le superiori argomentazioni, la Corte di Cassazione rilevava che la redazione di ricorsi nell’interesse del privato cittadino non rientra nelle competenze funzionali del vicecomandante o di altro soggetto dell’amministrazione comunale, indi per cui una simile attività deve essere ricondotta a quella posta in essere “in occasione dell’ufficio”, ma senza alcun collegamento funzionale con questo; quindi non un “atto di ufficio” nella nozione penalistica del termine.

Non potendosi pertanto configurare il delitto di corruzione, la Suprema Corte annullava la sentenza della Corte d’appello di Venezia e assolveva gli imputati grazie al sapiente lavoro certosino degli Avvocati Penalisti coinvolti nel caso.

Consulenza Legale su Atti della Pubblica Amministrazione

La sentenza sopra richiamata lascia alcuni aspetti insoluti con riferimento all’attività di consulenza svolta dal pubblico ufficiale in privato, se non altro per le difficoltà che si pongono nel qualificare tale tipo di rapporto.

Se consigliare un privato in tema di ricorsi amministrati avverso atti della pubblica amministrazione non costituisce, giustamente, un atto di ufficio che possa essere sussunto nella fattispecie della corruzione, allora però esso dovrebbe essere inquadrato nell’ambito della consulenza privata, visto il compenso percepito, con le ovvie conseguenze in ordine alla compatibilità di una libera professione con la posizione di dipendente pubblico.

Insomma, gli scenari che si aprono sono diversi e non tutti esplorati.

Bisognerà attendere future posizioni della giurisprudenza sull’argomento, così da chiarire altri aspetti di una simile ipotesi rimasti poco sondati.

Abuso d’ufficio

In ogni caso, quando non vi sono gli estremi per la sussistenza del delitto di corruzione, occorrerà valutare se si sia consumato il diverso e residuale reato dell’abuso di ufficio.

Esso è previsto e disciplinato dall’art. 323 c.p., il quale stabilisce che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.