Vi è concussione ogniqualvolta vi sia una condotta di prevaricazione del Pubblico Ufficiale realizzata in una posizione di preminenza rispetto alla vittima del reato, la quale a sua volta rimane assoggettata in una posizione di timore.
Vi è corruzione, invece, quando il Pubblico Ufficiale ed il privato operano in condizioni di parità, al fine di giungere ad un accordo illecito legato alla libera convergenza di due volontà.
Ai fini dell’individuazione degli elementi differenziali tra i reati di corruzione e di concussione occorre dunque aver riguardo al rapporto tra le volontà dei soggetti, che nella corruzione è paritario ed implica la libera convergenza delle medesime verso la realizzazione di un comune obiettivo illecito, mentre nella concussione è caratterizzato dalla presenza di una volontà costrittiva del Pubblico Ufficiale, che condiziona la libera formazione di quella del privato fino a convincerlo dell’obbligo della dazione o della promessa di denaro.
In alcuni casi la condotta costrittiva diviene parte integrante del lavoro di un pubblico ufficiale; talvolta fino a fargli dimenticare i singoli comportamenti illeciti che compie, essendo questi il frutto di un modus operandi reiterato negli anni.
Forse addirittura si perde, oltre che la consapevolezza, la percezione della contrarietà alla legge di ciò che si sta facendo, convinti come si è che quella consuetudine criminosa faccia parte di un sistema più ampio che sfugge al nostro controllo e di fronte al quale non saremo certo noi a opporci.
Del resto, funziona così; questa la giustificazione che si dà a se stessi e agli altri.
Forse questa è anche la giustificazione che due carabinieri del Comune di Torre Annunziata hanno dato alle loro coscienze.
Essi avevano instaurato un vero e proprio sistema corruttivo che si estendeva a ogni singolo atto del loro lavoro quotidiano di contrasto all’attività illecita.
Intascare denaro per compiere un’attività che dovrebbe proprio essere destinata alla repressione del crimine; un paradosso non indifferente.
Controlli e verifiche nei Cantieri Edili
In particolare, i due militari erano stati assegnati ai controlli sui cantieri in corso proprio nel comune di Torre Annunziata, dove avevano iniziato a fare il bello e il cattivo tempo. È noto come l’edilizia sia uno dei settori in cui più appare dilagante l’illegalità, con particolare riferimento alla consumazione di reati contro la Pubblica Amministrazione, quali la concussione, la corruzione o l’abuso d’ufficio; ciò avviene perché i soldi in ballo sono molti e soprattutto poiché in questi casi si attiva una catena burocratica di autorizzazioni, concessioni e successivi controlli che ben si presta alla formazione di intoppi se i meccanismi non vengono ben oleati.
I carabinieri imputati facevano parte proprio di tali ingranaggi, essendo preposti al controllo sulla regolarità dei cantieri.
Abusi edilizi, quanto costa chiudere un occhio?
Di volta in volta essi si accordavano con i controllati in relazione alla somma che avrebbero dovuto percepire per omettere il controllo o comunque per cambiarne gli esiti eventualmente negativi, specie con riferimento alle costruzioni edilizie abusive, che come è noto configurano un reato, nonché in relazione ai successivi sequestri che avrebbero dovuto effettuare.
Insomma, in ogni cantiere i carabinieri trovavano il modo per essere convinti a chiudere un occhio.
Fino a che le autorità non si accorgevano di quanto stava accadendo e iniziavano un’attività di indagine diretta a smascherare i colleghi malfattori.
A finire sotto processo non erano soltanto i due militari, ma anche coloro che avevano pagato delle somme di denaro in cambio di omessi controlli e di omesse denunce.
Corruzione o Concussione?
Il problema che si pone in questi casi è però quello di accertare in concreto se il privato cittadino abbia assecondato le richieste dei pubblici ufficiali perché intimidito da un clima di concussione ambientale che conduce alla consapevolezza di doversi comportare in un certo modo per non passare dei guai, ovvero abbia preso iniziativa scientemente, volendo raggiungere un accordo proficuo con i pubblici ufficiali, posto in violazione della legge.
Il processo per far luce sui limiti delle due norme e sui fatti avvenuti
Il Giudice dell’udienza preliminare di Nola dichiarava tutti gli imputati, sia i due carabinieri che i due privati, colpevoli del reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, derubricando l’originaria imputazione formulata dalla Procura della Repubblica per alcuni degli episodi contestati, la quale aveva invece accusato i militari del più grave delitto di concussione e confermando la concussione per altri episodi.
La sentenza, pronunciata il 24 novembre 2010, interveniva all’esito della celebrazione del giudizio abbreviato e la pena inflitta, applicata la riduzione per la scelta del rito speciale, riconosciuta la sussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. per aver riparato al danno prima della condanna, nonché concesse le attenuanti generiche, era di anni 5 e mesi 8 di reclusione per i pubblici ufficiali e di anni 1 e mesi 4 di reclusione per i privati cittadini.
A ciò si aggiungeva l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici per i carabinieri e l’interdizione legale per tutta la durata della pena.
Avverso tale pronuncia gli imputati proponevano appello.
L’appello e la contestazione della valutazione delle prove
Negli atti di appello tempestivamente depositati, le difese proponevano diversi motivi di censura della sentenza di condanna pronunciata in primo grado.
Segnatamente, gli avvocati dei carabinieri sottolineavano la confessione resa da entrambi in sede di convalida dell’arresto e in sede di interrogatorio di garanzia, da valutarsi comunque a favore degli stessi, attesa la sintomaticità dell’assenza di un profilo criminale spiccato.
In primo luogo, alla luce di una diversa interpretazione degli atti di causa, chiedevano l’assoluzione per insussistenza del fatto, o comunque per la contraddittorietà, insufficienza o mancanza degli elementi di prova; in subordine, in caso di mancato accoglimento delle precedenti istanze, veniva chiesta la riduzione della pena irrogata in primo grado, giudicata dalle difese eccessiva rispetto ai parametri imposti dall’art. 133 c.p., il quale dispone di tener conto delle circostanze in cui i fatti si sono verificati e della personalità del colpevole ai fini della quantificazione della pena.
Per i privati, viceversa, le difese chiedevano la piena assoluzione in quanto essi non avrebbero mai consumato il reato di corruzione, essendo al contrario stati vittime della concussione posta in essere dai pubblici ufficiali, che li avrebbero messi in uno stato di soggezione tale da indurli a piegarsi alle richieste della pubblica autorità, nella convinzione che ciò fosse il solo modo di sottrarsi a problemi futuri.
A loro avviso non si sarebbe mai concluso quel sodalizio criminale che pone intraneused extraneussu un piano di parità, pronti a concludere un affare per entrambi, bensì si sarebbe verificata una vera e propria imposizione, data dall’abuso di potere dei due carabinieri.
Anche in questo caso, in via subordinata veniva chiesta la riduzione della pena irrogata in primo grado in quanto eccessiva, con l’aggiunta del beneficio di legge della sospensione condizionale della pena e della non menzione ne certificato del casellario giudiziale.
La rinuncia ai motivi di impugnazione
Si svolgevano innanzi ai giudici del secondo grado di merito due diverse udienze, una in data 14 ottobre 2001 e l’altra il 18 maggio 2012. In tale occasione, in maniera piuttosto inaspettata, i difensori dei carabinieri, muniti di procura speciale, rinunciavano alle censure di merito contenute nell’atto di appello precedentemente depositato; i militari non avevano dunque più intenzione di perseguire la linea difensiva che li voleva innocenti, ma si limitavano ad affermare che la pena irrogata era eccessiva e ne chiedevano pertanto una riduzione.
A tal proposito, preso atto anche del gesto di responsabilità dei due imputati che avevano rinunciato a sostenere quanto evidentemente non avrebbe mai potuto essere sostenuto, i giudici della Corte d’appello accoglievano le istanze difensive relative ad una diversa quantificazione della pena, osservando come la personalità dei due, nonché il comportamento processuale tenuto, sia in sede di confessione che in sede di rinuncia all’impugnazione del merito, consentissero la riduzione della sanzione.
I pubblici ufficiali venivano pertanto condannati ad anni 4 e mesi 8 di reclusione, essendosi operata in appello la riduzione di un anno di pena; inoltre, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici veniva tramutata in interdizione per la durata di anni cinque.
Ciò detto, la Corte d’appello era poi chiamata a valutare le posizioni dei due privati, che lamentavano l’errata qualificazione giuridica dei fatti.
E infatti, chiarita la posizione dei pubblici ufficiali, che alternavano episodi corruttivi a episodi concussivi, in un clima di completo disprezzo della legge, doveva operarsi la valutazione in concreto delle condotte degli altri due imputati, tentando di capire se si trattasse di vittime o di carnefici.
La soggezione del privato per la Concussione
All’uopo la Corte d’appello richiamava gli insegnamenti della Corte di Cassazione, secondo cui, al fine di distinguere tra concussione e corruzione, è necessario aver riguardo al rapporto tra le volontà dei soggetti coinvolti, rapporto che nella corruzione è paritario mentre nella concussione si caratterizza per una volontà costrittiva del pubblico ufficiale a cui corrisponde lo stato di soggezione del privato.
La differenza non è di poco conto, poiché nel caso di concussione il privato non sarà punito e il pubblico ufficiale dovrà soggiacere ad una pena più grave, da sei a dodici anni di reclusione, come chiarito dall’art. 317 c.p.; nella corruzione, viceversa, saranno puniti tutti i soggetti implicati ma la pena sarà più bassa, da quattro a otto anni di reclusione, come sancito dall’art. 318 c.p.
I giudici optavano per la corruzione, rilevando un evidente interesse dei privati al compimento da parte dei carabinieri di un atto contrario ai propri doveri d’ufficio. Come osservato, pur essendo vero che vi fosse una pressione ambientale dovuta al modus operandi protrattosi nel tempo dei pubblici ufficiali, comunque essa nonaveva determinato uno stato di soggezione nelle vittime.
Anzi, dai singoli episodi contestati e dall’istruttoria dibattimentale era emerso con chiarezza come i privati fossero particolarmente attivi nelle trattative sul presso della “mazzetta” da pagare ai carabinieri, a dimostrazione dell’assoluta parità tra le posizioni.
Alla luce di ciò, con riferimento all’appello avanzato da tali due imputati, la Corte d’appello respingeva le censure e confermava la condanna inflitta in primo grado.
La linea difensiva dell’Avvocato Penalista
Il filo che distingue corruzione e concussione è sottilissimo ed è semplice cadere nell’ipotesi sbagliata, molto dipende anche dalle dichiarazioni e dalla linea difensiva dell’Avvocato Penalista di fiducia a cui ci si affida.
Come visto, la difficoltà maggiore che il giudice si troverà ad affrontare è senz’altro rappresentata dall’indagine sull’animo del privato cittadino, cercando di scorgere le sfumature del suo comportamento e tentando di capire se vi sia stato in lui il timore di ripercussioni e quel timore reverenziale dovuto alla presenza di pubblici poteri, o se semplicemente egli fosse, come altri, un soggetto pronto a scendere al compromesso dell’illegalità pur di ottenere i suoi scopi.
È questo uno degli aspetti su cui è più semplice fondare la propria linea difensiva, ricordando sempre che in un processo penale la condanna può giungere solo quando l’accusa abbia provato la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio.
Ciò significa che il difensore non dovrà provare l’innocenza, ma semplicemente istillare il dubbio.
Abuso d’ufficio ex art. 323 cp
Quando si parla di reati contro la pubblica amministrazione che implichino una disponibilità del pubblico ufficiale all’illecito, non si può non citare il reato di abuso d’ufficio, previsto e punito dall’art. 323 c.p., secondo cui, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norma di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Nei casi di maggior gravità il giudice può aumentare la pena.