Non può essere accolta la tesi di chi, sorpreso dalle forze dell’ordine alla guida di un’autovettura in evidente stato di ebbrezza, palesi la volontà di consegnare una somma di denaro ai militari sostenendo che si tratta di un importo sufficiente al pagamento dell’elevanda multa.
Al contrario, una simile condotta integra il reato di istigazione alla corruzione di cui all’art. 322 c.p.
Corte d’appello di Torino, Sez. III, sentenza 15 ottobre 2009
Essere fermati dalle forze dell’ordine per un controllo, diciamocelo, è una grossa scocciatura, specie se si è consapevoli del proprio torto e si è già a conoscenza del fatto che con molta probabilità sarà elevato un verbale con le nostre infrazioni.
Vi sono alcuni esponenti delle forze dell’ordine che a volte dimostrano una maggiore elasticità, rendendosi perfettamente conto della situazione e di come ogni tanto si possa anche evitare di applicare il codice della strada in maniera stringente e ottusa, senza adeguarlo al caso concreto. Ve ne sono altri, invece, che sguainata la spada della legalità per un attimo assumono le sembianze di un moderno boia, contando i secondi che ci separano dalla scudisciata della firma del verbale.
La verità è che non tutte le infrazioni sono uguali, non tutte le condotte hanno il medesimo disvalore. È necessario fare delle distinzioni e tentare di capire chi si ha davanti.
Dall’altro lato vi è poi il trasgressore. Può trattarsi di un cittadino modello che non ha mai neppure parcheggiato in divieto di sosta, ovvero di un soggetto che, guidando in stato di ebbrezza, ha messo in pericolo la propria vita e quella di terze persone che avrebbero potuto catastroficamente incrociare il suo cammino.
È anche possibile che il fermato, sprezzante dell’autorità, tenti di risolvere tutto con il più vecchio dei metodi, quello che fin dai tempi della Roma Repubblicana ha dominato l’indole umana: la corruzione. Le somme di denaro risolvono tutto, cancellano le infrazioni, fanno in modo che siano evitate le conseguenze di ciò che si è fatto, sebbene si tratti di qualcosa di molto grave.
Ogni anno in Europa muoiono oltre dieci mila persone in incidenti stradali correlati all’alcol; si pensi che nel 2012 in Italia gli incidenti stradali sono stati 186.726. Periodicamente si discute di una qualche legge legata all’omicidio stradale, all’inasprimento delle pene per coloro che cagionano incidenti mortali mettendosi alla guida ubriachi.
Tutto ciò non può che indurre carabinieri e polizia ad essere particolarmente rigidi ogniqualvolta un guidatore risulti positivo all’alcol test.
Tentativo di corruzione
Ciò è quanto avvenuto anche alla Compagnia Carabinieri di Chieti, Nucleo Operativo e Radiomobile, segnatamente ad un brigadiere e ad un carabiniere scelto che il 20 ottobre 2005 svolgevano servizio di pattuglia e posti di blocco in Pino Torinese.
I militari quella sera provvedevano ad eseguire un controllo sul soggetto posto alla guida di una volkswagen Passat, il quale appariva in evidente stato di ebbrezza. L’uomo, tuttavia, resosi conto di quanto sarebbe accaduto e delle conseguenze che cui sarebbe andato incontro, tra cui oltre alla sospensione della patente anche il processo penale, con un fare qualunquista e supponente tentava invano di corrompere i carabinieri preposti al controllo.
Dapprima offriva loro in maniera esplicita la somma di euro 150,00 affinchè lo lasciassero andare senza elevare alcun verbale in ordine al fatto di reato contestato e, successivamente, dopo aver compreso che non era affatto intenzione delle forze dell’ordine accettare le sue offerte, lanciava direttamente il denaro nella pattuglia.
Un gesto sprezzante, compiuto da chi crede che tutto sia in vendita, che tutti siano pronti a precipitarsi su un importo in denaro, peraltro anche alquanto irrisorio.
A nulla tuttavia occorrevano tali maldestri tentativi. Non solo l’uomo veniva denunciato per guida in stati di ebbrezza, ma avrebbe subìto un processo anche per istigazione alla corruzione.
Rinvio a giudizio per istigazione alla corruzione
Il guidatore veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Torino in composizione monocratica, ove in data 31 gennaio 2006 era dichiarato colpevole del reato a lui ascritto, ossia istigazione alla corruzione per il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, e condannato alla pena di mesi 7 e giorni 3 di reclusione.
Visto lo stato di incensuratezza dell’imputato, il giudice di primo grado gli concedeva i benefici di legge della sospensione condizionale e della non menzione nel casellario giudiziale, ordinando la confisca del denaro sequestrato.
Avverso tale sentenza proponeva appello l’imputato.
L’accusa: imputazione ex art. 322 del codice penale
L’ipotesi accusatoria come detto era quella dell’istigazione alla corruzione. Si tratta di un reato previsto e punito dall’art. 322 c.p., secondo il quale chiunque offre o promette denaro o altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita dall’art. 318 c.p. ridotta di un terzo; ugualmente al secondo comma si stabilisce che se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio a omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell’art. 319 c.p., ridotta di un terzo.
In sostanza, in caso di istigazione alla corruzione la pena è quella prevista per il reato di corruzione, seppur diminuita.
Nel caso di specie ad essere contestato era proprio il secondo comma, ossia quello relativo all’istigazione alla corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, con il richiamo all’art. 319 c.p. che a sua volta statuisce una pena da quattro a otto anni, da ridursi non essendosi concretizzata la condotta corruttiva.
Pagamento della multa per infrazione al codice strada
Dal canto suo la difesa contestava fermamente la ricostruzione dei fatti così come effettuata dalla procura e riportata nel capo di imputazione, sostenendo che mai l’imputato aveva avuto l’intenzione di porre in essere un’offerta corruttiva nei confronti dei carabinieri.
Al contrario, secondo la versione del difensore, l’uomo, che peraltro aveva delle difficoltà con la lingua italiana, dopo esser stato fermato e aver compreso che vi era qualcosa che non andava e che probabilmente si era reso responsabile di un’infrazione, aveva inteso consegnare ai militari una somma di denaro allo scopo di pagare la multa che questi gli avrebbero fatto.
Concordemente con tale ricostruzione, dunque, l’uomo doveva necessariamente essere assolto perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato, mancando totalmente l’elemento volitivo che dovrebbe essere sotteso al reato di istigazione alla corruzione.
All’udienza dell’8 ottobre 2009, in camera di consiglio, la Corte confermava la sentenza di primo grado, accogliendo totalmente l’ipotesi accusatoria e giudicando non credibile e poco verosimile la ricostruzione fatta dalla difesa.
Essa innanzitutto osservava come fosse palese lo stato di ubriachezza dell’imputato al momento dei fatti contestati, il quale, allorchè veniva fermato dai carabinieri di Chieri, stava procedendo con la propria vettura in modo irregolare con costanti invasioni della corsia di marcia opposta.
La dinamica dei fatti prospettata dal difensore non veniva considerata accoglibile in quanto dall’istruttoria dibattimentale era emerso con sufficiente chiarezza come l’uomo avesse in un primo momento estratto tre banconote da cinquanta euro offerte con una certa insistenza ai pubblici ufficiali e, in un secondo momento, avesse gettato le stesse sul sedile posteriore della vettura di servizio, dopo che i militari avevano più volte rifiutato e lo avevano invitato a desistere da quel comportamento.
Inoltre il guidatore, sempre nel suo stato di alterazione dovuto all’alcol, aveva oltretutto chiaramente esplicitato la sua volontà di offrire il denaro allo scopo di evitare che gli venisse tolta la patente di guida.
L’ipotesi che egli volesse solo pagare la multa appariva alla Corte assurda, in ragione del fatto che tra l’altro l’imputato non avrebbe potuto conoscere l’importo della stessa, a maggior ragione vista la paventata difficoltà di comprendere la lingua italiana, che tuttavia non gli impediva di comprendere perfettamente che la sua condotta avrebbe portato alla sospensione della patente.
In altri termini, ad avviso dei giudici di secondo grado l’’illiceità del comportamento tenuto era perfettamente noto al guidatore, che proprio al fine di sottrarsi alla dura sanzione poneva in essere un’ulteriore condotta illecita sussumibile perfettamente nella fattispecie di cui all’art. 322 c.p.
Per tali motivazioni, la sentenza di primo grado veniva interamente confermata, sia con riferimento al riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato, sia con riferimento alla quantificazione della pena, ridotta in virtù del riconoscimento delle attenuanti generiche e assoggettata a sospensione condizionale.
L’imputato quindi non la sconterà, a meno di non commettere un altro delitto nei cinque anni successivi al tale condanna.
In una simile evenienza, infatti, la nuova pena verrebbe sommata a quella che era stata sospesa.
Corruzione per pochi euro
La vicenda oggetto del giudizio riportato è perfettamente evocativa di quanto sia semplice, con un gesto che per molti potrebbe sembrare al più sconveniente, mettersi nei guai.
Stiamo parlando di soli 150 euro, che pure sono stati sufficienti a riportare una condanna penale.
Forse, visto lo stato di ebbrezza in cui il soggetto agente si trovava, sarebbe stato opportuno incriminarlo soltanto per la guida sotto l’effetto dell’alcol, senza ulteriormente aggravare la sua situazione con la giustizia, ma si tratta di valutazioni personali che devono essere effettuate di volta in volta da parte di chi agisce.
Il reato si era consumato ed è pur vero che incombe sui pubblici ufficiali un obbligo di denuncia, ma come tutti sappiamo a volte è anche possibile essere elastici, comprendendo per un attimo le difficoltà di chi abbiamo davanti.
Certo la comprensione non si può esigere, si può soltanto sperare di riceverla.
Guida in stato di Ebbrezza
Oltre al delitto di istigazione alla corruzione, nel caso di specie si consumava anche un altro reato, di natura contravvenzionale: quello previsto dall’art. 186 Codice della Strada.
Esso stabilisce che è vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche.
Chiunque guida in stato di ebbrezzaè punito, ove il fatto non costituisca più grave reato: a) con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 527 a euro 2.108, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l). All’accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi; b) con l’ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l’arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l).
All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno; c) con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l’arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro g/l).
All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente è raddoppiata.
La patente di guida è sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI,in caso di recidiva nel biennio.
Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato.